Autore: A1

Uno che va spesso a teatro e al cinema, che legge un certo numero di libri. Lo spettatore medio, il lettore medio, senza arte ne parte. Un consumatore.

N.0016 – 220218 – Stella Di Neve

Scartabellando tra i vecchi documenti ho ritrovato questo manoscritto che era accompagnato da una foto.

“Torquay Aprile 1924.

La pioggia primaverile era decisamente fastidiosa perché era sempre
accompagnata da quell’umidità lattiginosa che caratterizza tutte le
città di mare. L’odore pungente della salsedine fortunatamente non
arrivava fino in città, ci sarebbe mancato solo quello. Era passato
quasi un mese da quando avevo messo quell’annuncio sul giornale locale e
le cosa sembravano aver preso una bella piega, la gente sembrava
soddisfatta del mio lavoro al punto che di tanto in tanto arrivavano
richieste anche dalle città vicine, Mr Peabody sarebbe stato orgoglioso
di me. Io ero nel mio piccolo ufficio tutto assorto in questi pensieri
autocelebrativi che quasi non notai la presenza di un signore distinto
di mezza età presso la porta. “Disturbo?” Chiese l’uomo con voce gentile
“Si accomodi, in che modo la posso aiutare?” Risposi accompagnando le
parole con un gesto del braccio per invitarlo ad accomodarsi, lui si
sedette su una delle poltroncine e senza nemmeno darmi il tempo di
chiedergli che cosa volesse iniziò il suo racconto, i suoi occhi color
del cielo sembravano illuminarsi ad ogni parola come de preziosissimi
diamanti, io ascoltavo con interesse. “Mr Blake, avrei un incarico da
affidarle, qualcosa di particolare e per evitare un suo possibile
rifiuto ho portato questa” disse estraendo dalla tasca interna una
lucida Luger calibro 8, alla vista di quell’arma rimasi esterrefatto e
senza parole, lui continuò dicendo. “Non intendo usarla contro di lei ma
potrei farlo contro di me se lei disgraziatamente dovesse rifiutare
quello che le sto per offrire”. Sembrava deciso e quindi lo lasciai
continuare senza dire nulla. “Mr Blake, lei deve occuparsi delle esequie
di Stella Di Neve”. “Stella Di Neve? Ma che nome sarebbe, mi ricorda
quegli strani totem indiani, curioso come nome… “ pensai. L’uomo
continuò il suo discorso accomodandosi più rilassatamente sulla sedia.
Mentre noi parlavamo i rumori della città mi ricordavano che tutto
questo stava accadendo davvero, ma in che razza di posto ero capitato?
“Senta Blake ecco come stanno le cose: Stella di Neve era una cavalla
lipizzana, splendida, il mantello era lucido e candido come la neve,
decisamente un esemplare di primordine, tuttavia non era per la sua
indiscutibile bellezza che vinceva tutti Grand Prix, la velocità e la
resistenza la rendevano unica ed imbattibile, tuttavia gli anni
passavano e l’età rendeva il suo pelo sempre più opaco, il passo più
stanco. Venne un momento in cui Stella di Neve smise di vincere”. Gli
occhi del vecchio si facevano lucidi mentre parlava, la sua voce
dapprima sicura ora faceva sentire delle incrinature di tristezza e
rabbia. “Un giorno venne all’ippodromo un giovanotto, uno di quelli ben
vestiti e profumati, mi chiese dove fosse il box di Stella di Neve e io
glielo indicai, non mi piaceva quel tizio perché sembrava conoscere
soltanto la lingua del denaro, le sue mani erano troppo pulite e curate,
non mi piaceva. Quando il tizio arrivò al box e vide Stella di Neve
l’accarezzò ed un sorrisetto subdolo apparve sulla sua faccia pulita.
All’improvviso, come un fulmine a ciel sereno, disse: “Quanto vuole per
questo lipizzano? Mi interessa questo animale, quanto vuole? Sono
disposto ad offrirle molto bene” Entrambi sapevamo quanto valeva Stella
di neve, solo che per lui si trattava solo di una vecchia cavalla ormai
inutile mentre per me rappresentava una sequenza infinita di gioie e
dolori, di emozioni, ecco ce cos’era Stella di neve, lei era tutte le
emozioni che avevo provato.”

N.0015 – 160218 – Listen To The Radio

Oggi nessuno ci fa caso, ma un tempo era il centro della vita familiare, delle famiglie che potevano permettersela. Era la radio. E’ la radio. Esatto quella voce che ti tiene compagnia, l’origine di quella musica che canticchi mentre guidi. Quella presenza discreta che ti accompagna per giornate intere ed anche per qualche nottata. Sei lì che guidi e le luci dei lampioni scorrono sul parabrezza, i tuoi pensieri sarebbero immobili nell’abitacolo come una nuvola di fumo, ma quella voce che esce dal cruscotto li smuove, dà loro un senso. E’ la radio. Tempo fa ho avuto la fortunata occasione di poter assistere ad un programma radiofonico da DENTRO la radio, dal punto preciso in cui nasce quella voce, dal punto preciso in cui la tua canzone preferita inizia a suonare. Aldilà di tutti gli aspetti tecnico organizzativi, la cosa che mi è rimasta più impressa è la passione con cui le persone FANNO la radio, l’impegno che ci mettono, le difficoltà che devono affrontare ogni volta che su quel pannello luminoso appare la scritta “ON AIR”. Alla fine della trasmissione, tornando a casa in macchina, ascoltando la stessa stazione in cui ero stato fino a poco prima, mi chiedevo quanto ci fosse di quelle persone nelle canzoni che trasmettono, nei programmi che mandano in onda. Mi sono reso conto del fatto che per percepire quelle piccole sfumature è necessario conoscere veramente bene quelle persone. Non ho avuto questa possibilità, però da quel giorno in poi la radio per me ha assunto un significato ed un valore completamente diversi.

N.0013 – 020218 – Parlando con le rane

27072801_10213943112204593_7757189668489233641_nIn una calda mattina di primavera mi ritrovai ad osservare due grandi occhi color dell’oro posarsi leggeri sui fili d’erba appena tagliata. Gli stessi occhi poi incontrarono quelli di una bambina bionda e si fecero dolci come quelli di una mamma. Mani che si stringono, una piccola ed una grande, una voce gentile e l’invito ad osservare le rane. Gli occhi curiosi, brillanti d’azzurro come zaffiri, s’illuminarono alla vista di quei piccoli anfibi. Il sole risplendeva tra i capelli dorati della donna che stringeva la mano della bambina. Mille pensieri si affollavano nella sua mente. Voglia di fuggire o di fermare il tempo, di sentire il battito del proprio cuore che accelera. Un piccolo insetto, una coccinella forse, non è importante, si posa su una foglia ed osserva la scena… Sente solo il battito del cuore di quella donna, l’osserva, vorrebbe fermare il tempo.

(Foto by: Linda Fiore)

N.0012 – 140118 – Mocambo

20180114_115441.jpgSe riesci a concentrarti un attimo puoi percepirne ancora la presenza. Non si tratta di fantasmi, non in senso stretto almeno, ma di persone che hanno lasciato in determinati luoghi il segno intangibile del loro passaggio sottoforma di: emozioni, timori, felicità pura, passione e via dicendo. Ed allora ti sembra di sentire la musica che aveva fatto da sottofondo a quelle persone. Ma la cosa più coinvolgente di quei luoghi è il sentirsi parte di una storia: in quel momento ci si sente, allo stesso tempo, il futuro ed il passato di quel luogo. È quasi una missione, quasi un dovere. Tutto era avvolto dal fumo delle sigarette e dalle bugie dette con una voce roca molto convincente. Una nebbia artificiale che una volta dissolta ha lasciato solo sedie vuote, bicchieri sporchi e tanti ricordi.

N.0011 – 241217 – Il Mistero sulla sepoltura di Dante Alighieri

20171224_000716-11852772468.jpgNel 1865, durante i lavori di restauro per il VI centenario della sua nascita, un operaio ritrovò una cassetta con un’iscrizione. La fortuna volle che un giovane studente, tale Anastasio Matteucci, riconobbe che quel contenitore custodiva le spoglie mortali del Sommo Poeta. Lo studente trattenne la scatola per qualche giorno giustificandosi sostenendo che quel tempo gli era servito per appurare l’autenticità della scoperta. Successivamente altri esperti esaminarono l’iscrizione e le ossa ritrovate confermando la tesi del Matteucci. La salma fu quindi ricomposta ed esposta al pubblico per qualche mese in un’urna di cristallo. Negli anni successivi il nome di Anastasio Matteucci cadde nell’oblio, diventò uno stimato notaio e visse una vita apparentemente normale. Il Matteucci morì negli anni ’20 del secolo scorso e gli eredi, rovistando tra gli oggetti appartenuti al defunto, ritrovarono un breve memoriale scritto a mano dal Matteucci in cui aveva descritto i fatti che seguirono il ritrovamento delle spoglie dantesche. Il giovane studente rivelò che nell’urna non c’erano solo le ossa dell’Alighieri ma anche un ciondolo con una pietra nera, il Matteucci aveva realizzato anche un disegno di questo ciondolo: aveva la forma di una stella a sette punte con incastonata al centro una pietra ovale di colore scuro. Nel manoscritto si parlava di una strana proprietà di questo monile: la capacità di mettersi in contatto con i defunti. Lo studente scrisse che gli fu sufficiente tenere in mano il ciondolo per pochi istanti per veder apparire davanti a sé il padre morto pochi anni prima, lo stesso Alighieri apparve e confermò egli stesso che le ossa deposte nella cassetta erano le sue. Matteucci non nasconde il terrore che aveva provato nel vedere comparire dal nulla, “come un’ombra su un tendone invisibile”, la figura di suo padre prima e di Dante poi. Il suo terrore aumentò quando quelle figure si dimostrarono tutt’altro che benevole e felici di vederlo, anzi, lo ammonirono di non chiamarle più. L’uomo, alla fine del manoscritto, spiega che sarà sua cura disfarsi di quel ciondolo affinché nessuno richiami quelle anime dal loro mondo al nostro. Il monile in effetti non fu mai più ritrovato. Desta qualche domanda il fatto che successivamente le spoglie mortali del Sommo Poeta furono ritumulate all’interno del tempietto del Morigia, in una cassa di noce protetta da un cofano di piombo.

N.0010 – 021217 – Il misterioso diario di Vanessa

1bfcbe7e8ec604f3718761af71754290--old-family-photos-streetstyleDurante un trasloco, in una vecchia casa della campagna abruzzese, uno degli operai trovò un diario risalente agli anni ’40 del secolo scorso, lesse le prime pagine per capire di chi fosse e restituirlo al proprietario. Il titolare dell’azienda contattò la famiglia presso la quale avevano eseguito il trasloco ma i committenti negarono di aver mai posseduto quel diario, anzi si complimentarono con lui per il lavoro eseguito con cura, proprio perché nel trasloco non era andato perduto nulla. L’uomo, sorpreso da quella risposta iniziò a leggere il diario. Il manoscritto era stato redatto da una ragazza che all’epoca aveva vent’anni, la giovane spiegava che quel diario le era stato regalato dalla madre e che vi avrebbe scritto tutto quello che le sarebbe capitato nel corso dell’anno. Era il 1942. Vanessa, così si chiamava l’autrice del diario, raccontava i suoi giorni da adolescente: la scuola, la guerra, la sua prima cotta, il suo primo bacio, tutti questi tasselli della sua vita erano descritti nelle pagine ormai ingiallite di quell’agenda. Continuando nella lettura, l’uomo si rende conto che il tenore del testo si fa via via sempre più drammatico. Vanessa parla di un uomo o di un essere, lo nomina come “lui”, che le fa visita ogni notte mentre sta dormendo. All’inizio sotto forma di strani sogni, poi col passare dei giorni, sempre in modo più concreto, fino ad arrivare al diciassette novembre, l’ultima pagina scritta del diario. Il diciassette novembre Vanessa scrive che “lui” quella notte la porterà con sé “in uno luogo fuori da questa realtà”. “Lui si farà sentire con il verso del gufo e con i colori del ratto.” Così scrive la ragazza. “Io non voglio seguirlo, terrò stretto tra le mani il crocefisso d’oro che mi ha donato la mia povera mamma, mi proteggerà.” L’uomo chiuse il diario, scosso dalle parole della ragazza e decise che il giorno seguente sarebbe andato a dare un’occhiata alla casa dove il suo dipendente aveva trovato il diario. Luigi, così si chiamava l’uomo, si era ripromesso di visitare la casa al mattino, tuttavia degli impegni di lavoro gli permisero di essere lì soltanto nel tardo pomeriggio, quando stava già per imbrunire. La casa era vuota, come doveva essere, subito dopo un trasloco. Luigi aveva ancora con sé una copia delle chiavi che gli erano state consegnate dai proprietari per le esigenze del lavoro del giorno prima. All’interno la luce cominciava a scarseggiare ed il silenzio che regnava tra quelle mura cominciava ad essere piuttosto inquietante. L’uomo diede un’occhiata a tutte le stanze del pian terreno, per fortuna la casa non era molto grande, poi passò a quelle del piano di sopra. Quando fu in una delle camere da letto cominciò a sentire dei lamenti. Dapprima pensò che si trattasse di qualche gatto randagio in cerca di cibo, poi però si rese conto che il suono che sentiva non aveva nulla a che vedere con quello di un gatto. Era molto più umano. Aiutandosi con la luce del cellulare, Luigi cercò di individuare l’origine di quello strano suono, sembrava provenire dal muro della camera. La fortuna volle che uno degli operai aveva dimenticato lì un piede di porco, così l’uomo lo usò per incrinare la parete da cui provenivano i lamenti. Sotto la tappezzeria scolorita ed uno spesso strato di intonaco intravide dei resti umani, poi, man mano che altri pezzi di muro cedevano sotto i colpi del piede di porco, Luigi si rese conto di aver trovato il corpo della povera Vanessa, uno scheletro che reggeva in una mano un crocefisso d’oro. L’uomo si sedette per terra sfinito, era quasi mezzanotte. All’improvviso lo schermo del cellulare che aveva in mano s’illuminò, il display indicava l’ora e la data appena cambiate era il diciassette novembre 2017.

N.0009 – 251117 – Strani ritrovamenti nell’antica casa del poeta Carducci

Mortel1984Nella città di Bologna, negli anni ’60, durante alcuni lavori di ristrutturazione presso una vecchia casa abbandonata, gli operai ritrovarono un contenitore di forma cilindrica sotto uno spesso strato di intonaco. Si trattava di un cilindro di un materiale, apparentemente cuoio, di dimensioni simili a quelle di una bottiglia da tre quarti di litro. Uno dei manovali aprì il contenitore e vi trovò all’interno una serie di fogli scritti a mano ed una sorta di mappa, non riuscendo a decifrare il contenuto del messaggio perché scritto in una lingua che non conosceva, il manovale mise da parte tutto quanto e continuò i lavori assieme agli altri operai. Decise però di tenersi la mappa perché aveva capito che si trcarducci_ritrattoattava della pianta di quello stesso edificio. Quella stessa notte, il gruppo di operai che aveva ritrovato quei documenti decisero di esplorare quella palazzina lontano da occhi indiscreti, convinti che la mappa che avevano trovato li potesse condurre al nascondiglio di un tesoro. In effetti sulla piantina era riportato un punto contrassegnato da uno strano simbolo che però non si trovava in corrispondenza di una stanza che non risultava esistere. Quando il gruppo giunse nel punto indicato sulla mappa si ritrovò davanti ad una parete vuota. Uno di essi, decise di abbattere il muro, così fecero e si ritrovarono in una stanza completamente buia da cui proveniva un odore nauseabondo, decisero di proseguire comunque. La mattina successiva, all’apertura del cantiere, gli operai ritrovarono gli scheletri di una decina di individui proprio nella stanza scoperta nottetempo dai loro colleghi. Fu chiamata la polizia scientifica ed in seguito la sovraintendenza archeologica perché risultò che gli scheletri avevano tutti almeno cento anni. I lavori di ristrutturazione furono sospesi. Da indagini successive risultò che nel secolo precedente quell’edificio era stato di proprietà del poeta Giosuè Carducci. L’unico testimone sopravvissuto riferì che l’ultima cosa che vide prima di fuggire, fu due occhi rossi che brillavano nell’oscurità della stanza, poi le grida strazianti dei suoi compagni. Tuttavia nessuno gli credette e fu internato in manicomio, dove morì suicida pochi giorni dopo.

N.0008 – 181117 – Misteriosi ritrovamenti in Antartide

Nel 1945 una spedizione di esploratori norvegesi al comando del colonnello Olsen partì per l’Antartide per svolgere una ricognizione cartografica per conto del governo del loro Paese. Durante l’esplorazione il gruppo dovette cercare un riparo a causa di una forte tormenta che stava imperversando in quella zona. Gli esploratori trovarono rifugio in una sorta di caverna scavata nel ghiaccio. Il perdurare del maltempo costrinse gli uomini a trascorrere la notte in quel rifugio, così allestirono un bivacco di fortuna. Il sonno fu funestato da incubi in cui delle orrende creature provenienti dal fondo di quella grotta divoravano uno ad uno gli esploratori addormentati. Al risveglio nessun componente della spedizione mancava all’appello, tuttavia i loro corpi erano coperti da ossa di animali che nessuno di loro seppe identificare. Al ritorno in Patria il colonnello Olsen riferì ai suoi superiori riguardo a quella strana vicenda ma non venne creduto. Successive spedizioni al Polo Sud non riuscirono mai a ritrovare la grotta in cui si erano rifugiati gli esploratori e l’intera storia fu dimenticata. Negli anni che seguirono quegli uomini furono di nuovo preda di incubi atroci ed impazzirono. Morirono tutti suicidi, compreso il colonnello Olsen.

Nella foto il colonnello Olsen all’epoca dei fatti.

N.0007 – 240617

dscf4773.jpgC’era una vecchia casa a ridosso della strada, mio padre ed io ci stavamo passando accanto, lungo la strada. Ci fermammo, non so per quale motivo. Eravamo in macchina, faceva freddo ed il cielo era grigio. Scendemmo e d’un tratto ci ritrovammo in un prato incolto, pieno di sterpaglie, che doveva trovarsi sul retro della casa. Apparve all’improvviso una strana ed inquietante figura, si trattava di una giovane donna, magra e vestita di bianco. I suoi capelli formavano sul suo capo una massa cespugliosa ed ispida simile alle fronde di un albero, la sua chioma era così fitta e ampia da coprirle completamente il volto. La donna teneva le braccia aperte come se volesse attaccare una preda, le sue mani erano come artigli nodosi, pronti a dilaniare le carni di qualsiasi malcapitato che le si fosse parato d’innanzi. Noi eravamo proprio di fronte a lei. Ci sentivamo perduti, vicini alla fine, ma ecco che una sfera di fuoco arrivò da dietro di noi, non saprei dire da dove fosse partita esattamente. La sfera andò a colpire la donna facendola cadere a terra. Mio padre ed io ci ritrovammo immediatamente accanto alla nostra auto presso l’ingresso della casa, la sfera di fuoco continuo il suo percorso lungo la strada schiarendosi lentamente fino a diventare una fiammella per poi scomparire. Ricordo che c’erano altre persone lungo la strada e che la videro eppure nessuno ne parlò mai.