I primi tepori primaverili permettevano a tutti di tenere la finestre aperte anche fino alla sera e io stavo leggendo alcune lettere che mi erano giunte al mattino da parte di Mr Andrew a proposito di quella benedetta cripta che si trova sotto alla Cattedrale di Washington. In strada la tromba di Sonny faceva da sottofondo alla mia lettura e le note di “The Mooche” di Duke Ellington si profondevano lungo tutta la via. All’improvviso un boato, il rumore sordo di un’esplosione mi fece sobbalzare e subito dopo le grida della gente che era uscita in strada a vedere cosa fosse accaduto, mi affacciai alla finestra per vedere cosa fosse accaduto, lo feci per istinto senza pensarci, sotto c’era Sonny che appena mi vide gridò: “A Gallows Route! E’ successo qualcosa a Gallows Route!” Poi fuggi di corsa verso il quartiere malfamato. Scesi anche io di corsa e mi precipitai seguendo la folla verso Gallows Route. Una volta giunto sul posto lo spettacolo non era davvero dei migliori, un’intera palazzina era stata come sventrata e quelle prospicienti avevano i vetri totalmente disintegrati. Nell’aria si sentiva un acre odore di alcool misto a quello di legno bruciato. La gente intorno a me appariva scioccata, un po’ lo ero anche io, dannazione c’era qualcosa in quel quartiere che non andava eppure mai avrei pensato che sarebbe successo una cosa del genere, dannazione ho fallito, dannazione non c’è niente di peggio di una predizione che si avvera solo a metà. Battei un pugno sul muro per la rabbia, mi feci male, del sangue sgorgava dalla mia mano ma non me ne curai di fronte a quello spettacolo di distruzione. Dovevo recuperare la mia lucidità, raccogliere le idee o almeno i cocci di quelle che una volta erano delle idee. Quel dannato becchino intanto si dava un bel da fare, c’erano state delle vittime eppure lui sembrava serio quasi dispiaciuto, che bravo simulatore! Con tutta la grana che ti ha portato questo botto! Non dovresti essere così triste, razza di sotterra morti! I pensieri si affollavano mentre seguivo distrattamente i movimenti del becchino che gironzolava freneticamente sul luogo del disastro. Eppure qualcosa non mi convinceva, che si trattasse di un’episodio doloso era lampante ma diamine perchè proprio lì? Di chi era l’edificio che è esploso che cosa si faceva all’interno? L’odore di alcool non era solo un caso… Patson! Dannazione! Quel Reverendo ha le mani dappertutto!! Ma stavolta ha fatto il botto!! A quel punto notai che quel nero figuro del becchino si era fermato in un angolo vicino ad alcune macerie e stava come rovistando tra di esse, decisi di andare a vedere che cosa stesse facendo. Notai delle macchie di sangue sparse tutte attorno a quel punto e per terra un cadavere, o meglio, quello che ne rimaneva, infatti gli arti mancavano, c’era solo il busto e la testa era mancante della parte sinistra. Mr Blake con grande professionalità cercava di adagiare alla meno peggio quei resti mortali in una bara di legno chiaro e piuttosto nodoso. Non dissi nulla e mi allontanai al più presto prima di dare di stomaco. Lo sguardo di quell’uomo però mi rimase impresso: era freddo, distaccato, nelle sue pupille si potevano quasi vedere le monete scorrere e brillare. Ad un certo punto venni come svegliato da un rumore: “Mark, qui è tutto a posto, puoi caricare la cassa sul carro, fatti aiutare da Hermann”. Era la voce di Mr Blake, il suo lavoro era svolto per ora, professionale come sempre. Poi due ragazzotti robusti vestiti di nero raccolsero la cassa e la caricarono su un carro nero piuttosto malandato trainato da un cavallo nero che a giudicare dall’aspetto sembrava piuttosto avanti con gli anni. “Mr Blake noi andiamo, viene con noi?”. Sentii queste parole e poi la risposta di Blake :” No ragazzi andate pure, tornerò a piedi”. Il carro cigolante si allontanò e Blake rimase ad osservare la zona in cui poco prima vi erano i resti di quell’uomo. Il torpore in cui ero caduto poco prima per la vista di quei resti era svanito così decisi di farmi forza e di chiedere a Mr Blake qualche informazione, mi avvicinai a lui e gli chiesi: “Avete visto che disastro? Ho visto che avete raccolto i resti di una persona, avete idea di chi fosse?” Mr Blake fece un cenno negativo con il capo, il suo volto sembrava come sconvolto eppure non era la prima volta che vedeva un corpo ridotto in quelle condizioni. Ma soprattutto che ci faceva lì con una cassa già bella e pronta? Come faceva a sapere che gli sarebbe servita? No, no, quì non c’è nulla di chiaro. Diamine! Non è così che doveva andare, non si doveva giungere a questo punto! Chinai la testa e tenetti tra le mani, dovevo essere rimasto a lungo in quella posizione perchè non mi accorsi che sul luogo del disastro vi era anche una donna di mia conoscenza. Sollevai il capo e notai Miss Brooksfield a pochi passi da me, prima non l’avevo vista ma doveva esserci stata anche lei, anche lei doveva essere arrivata poco dopo l’esplosione. Incrociai il suo sguardo e lei per tutta risposta mi diede un ceffone dicendo con una voce rotta dal pianto: “Tu lo sapevi vero?!” Il gesto della giornalista mi aveva colto alla sprovvista ma riuscii comunque a mantenere il mio autocontrollo e risposi con voce calma e sicura: “Miss Brooksfield, io so sempre tutto, è il mio lavoro, non lo dimentichi.” Miss Brooksfield sembrava come impietrita, il suo volto era pallido come un lenzuolo i suoi occhi socchiusi, il suo incedere incerto, doveva essere stato un duro colpo per lei quello, perse i sensi un attimo e io la sorressi con le mie braccia. “Miss Brooksfield! Si riprenda! Forza! Reagisca!” Le gridavo mentre la scuotevo per farla rinvenire. Non appena si riebbe Miss Brooksfield mi guardò negli occhi per un’istante e poi fuggi.
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N.0016 – 220218 – Stella Di Neve
Scartabellando tra i vecchi documenti ho ritrovato questo manoscritto che era accompagnato da una foto.
“Torquay Aprile 1924.
La pioggia primaverile era decisamente fastidiosa perché era sempre
accompagnata da quell’umidità lattiginosa che caratterizza tutte le
città di mare. L’odore pungente della salsedine fortunatamente non
arrivava fino in città, ci sarebbe mancato solo quello. Era passato
quasi un mese da quando avevo messo quell’annuncio sul giornale locale e
le cosa sembravano aver preso una bella piega, la gente sembrava
soddisfatta del mio lavoro al punto che di tanto in tanto arrivavano
richieste anche dalle città vicine, Mr Peabody sarebbe stato orgoglioso
di me. Io ero nel mio piccolo ufficio tutto assorto in questi pensieri
autocelebrativi che quasi non notai la presenza di un signore distinto
di mezza età presso la porta. “Disturbo?” Chiese l’uomo con voce gentile
“Si accomodi, in che modo la posso aiutare?” Risposi accompagnando le
parole con un gesto del braccio per invitarlo ad accomodarsi, lui si
sedette su una delle poltroncine e senza nemmeno darmi il tempo di
chiedergli che cosa volesse iniziò il suo racconto, i suoi occhi color
del cielo sembravano illuminarsi ad ogni parola come de preziosissimi
diamanti, io ascoltavo con interesse. “Mr Blake, avrei un incarico da
affidarle, qualcosa di particolare e per evitare un suo possibile
rifiuto ho portato questa” disse estraendo dalla tasca interna una
lucida Luger calibro 8, alla vista di quell’arma rimasi esterrefatto e
senza parole, lui continuò dicendo. “Non intendo usarla contro di lei ma
potrei farlo contro di me se lei disgraziatamente dovesse rifiutare
quello che le sto per offrire”. Sembrava deciso e quindi lo lasciai
continuare senza dire nulla. “Mr Blake, lei deve occuparsi delle esequie
di Stella Di Neve”. “Stella Di Neve? Ma che nome sarebbe, mi ricorda
quegli strani totem indiani, curioso come nome… “ pensai. L’uomo
continuò il suo discorso accomodandosi più rilassatamente sulla sedia.
Mentre noi parlavamo i rumori della città mi ricordavano che tutto
questo stava accadendo davvero, ma in che razza di posto ero capitato?
“Senta Blake ecco come stanno le cose: Stella di Neve era una cavalla
lipizzana, splendida, il mantello era lucido e candido come la neve,
decisamente un esemplare di primordine, tuttavia non era per la sua
indiscutibile bellezza che vinceva tutti Grand Prix, la velocità e la
resistenza la rendevano unica ed imbattibile, tuttavia gli anni
passavano e l’età rendeva il suo pelo sempre più opaco, il passo più
stanco. Venne un momento in cui Stella di Neve smise di vincere”. Gli
occhi del vecchio si facevano lucidi mentre parlava, la sua voce
dapprima sicura ora faceva sentire delle incrinature di tristezza e
rabbia. “Un giorno venne all’ippodromo un giovanotto, uno di quelli ben
vestiti e profumati, mi chiese dove fosse il box di Stella di Neve e io
glielo indicai, non mi piaceva quel tizio perché sembrava conoscere
soltanto la lingua del denaro, le sue mani erano troppo pulite e curate,
non mi piaceva. Quando il tizio arrivò al box e vide Stella di Neve
l’accarezzò ed un sorrisetto subdolo apparve sulla sua faccia pulita.
All’improvviso, come un fulmine a ciel sereno, disse: “Quanto vuole per
questo lipizzano? Mi interessa questo animale, quanto vuole? Sono
disposto ad offrirle molto bene” Entrambi sapevamo quanto valeva Stella
di neve, solo che per lui si trattava solo di una vecchia cavalla ormai
inutile mentre per me rappresentava una sequenza infinita di gioie e
dolori, di emozioni, ecco ce cos’era Stella di neve, lei era tutte le
emozioni che avevo provato.”